* LA VERA STORIA DI EDGAR ALLAN POE *
PRESENTAZIONE

(Testo di Teresa Campi)

La chiave per decifrare il mistero di Edgar Allan Poe è introvabile. La teneva in tasca lui stesso quando fu ritrovato riverso su un marciapiede di Baltimora: fu malmenato, derubato o assassinato? Sarebbe morto comunque perché malato?
Alcolismo, depressione, perversione, mania di persecuzione: che nome dare alla sua malattia? Di sicuro ne aveva una: la Letteratura, alla quale sacrificò denaro, amore, prestigio.
Il termometro della febbre si chiamava Poesia e lo scopo della guarigione Bellezza, intesa come verità, aspirazione eterna, fine ultimo dell’uomo, da ricercarsi ovunque, persino nella deformità, nel grottesco, nell’intelligenza analitica e negli abissi del cuore umano.
Edgar Allan Poe fu soprattutto un veggente: anticipò la critica moderna e generi letterari come la detective story e il gotico moderno, in una società - quella americana degli inizi dell’Ottocento – priva di una cultura nazionale, che sarebbe sprofondata, da lì a poco, nella tragedia della Guerra Civile.
Come autore fu disprezzato dai più; costretto ai margini come giornalista, non pubblicò mai per intero una raccolta né di racconti, né di poesie. Solo nel suo ultimo anno di vita conobbe una certa fama grazie alla poesia Il Corvo, composta come estremo "graffio" al mondo che lo ignorava. Abbandonato a più riprese dagli affetti più cari, assaporò l’amore solo per essere costretto a separarsene.

In vita sua guadagnò poco più di 300 dollari e scrisse i suoi migliori racconti sotto l’urgenza della fame e del freddo: tanto gli costò il suo posto nella letteratura mondiale.
Con molte e giustificate esitazioni, ho affrontato l’idea di scrivere la biografia di Edgar Allan Poe. All’inizio, l’erronea sensazione era quella di dovermi occupare di uno scrittore la cui narrazione alto non era che testimonianza, seppure edulcorata dalla potenza letteraria, di un caso clinico. A contribuire all’errore fu sicuramente lo studio del testo di Marie Bonaparte (Edgar Allan Poe. Studio psicoanalitico, con prefazione di S. Freud) che, già nel 1936, ne sanciva lo stigma di necrofilia, sadomasochismo ed altro, e che ha contribuito a rafforzare quel misunderstanding di cui Poe rimase vittima per tutta la vita e oltre. Solo durante la lettura dell’accurata ricerca del professor Arthur Hobson Queen, è emerso l’uomo in carne ed ossa – ben distinto dalle ossessioni, dall’abisso dell’anima in pena, dagli orrori della sua opera – nella triste semplicità di uomo disperato perché solo, senza genitori, senza radici, sballottato qua là fin dalla prima infanzia, assolutamente privo di qualsiasi risorsa interna, e che ha sempre cercato di farsi amare per quello che era, senza mai scendere a compromessi, malgrado la fame che lo ha perseguitato tutta la vita. La sua genialità non è sinonimo di patologia tout court presunta o meno. Fu alcolista, ma questo non gli impedì di scrivere capolavori che hanno contato un genere; fu povero, ma mai asservito alle leggi del mercato, e questo gli permise di essere un intellettuale libero e di gettare le basi della critica letteraria contemporanea. Dietro questi grandissimi meriti si cela un Edgar Poe un bambino, richiedente asilo, pronto a disfarsi dell’orgoglio pur di essere amato e riconosciuto nel suo valore di letterato. Per questo diede la vita. La sua assoluta dedizione alla letteratura resta un esempio di puro eroismo. Il presunto lavoro non pretende di essere esaustivo, né completo, vuole solo restituire qualche verità e rappresentare un primo approccio italiano di studi biografici per sfatare false mitologie.

Teresa Campi, nata a Terracina, è romana d’adozione. Ha studiato all’Università La Sapienza di Roma: suoi maestri Elémire Zolla ed Elio Chinol. Ha conseguito un master in Educazione alla Pace e svolto corsi in nome della World Compassion for Children International sui diritti umani, fondato dal Premio Nobel Betty Williams.
Ha esordito come giornalista ai culturali di Paese Sera e ha pubblicato Il Canzoniere di Isabella Morra (Bibliofilo, 1980); Cenere e polvere (Savelli, 1981); Le ore casalinghe (Il Bagatto, 1982); Sul ritmo saffico (Bulzoni, 1983); Il sangue e l’oblio (Edizioni Del Girasole, 1986); Le cucine desolate (Manni, 1999); Storia elementare (Manni, 2006); D’Amore e morte. Byron, Shelley e Keats a Roma (Albeggi, 2016).
Ha tradotto opere di Renée Vivien, Pétrus Borel, Pierre Louys e il carteggio di P. B. Shelley: Morire in Italia (Archinto, 1986).